Quand'ero piccola trascorrevo molto tempo con mia nonna. La mia nascita era stata risolutiva per molte aspettative e molte persone: per i miei genitori, che con me avevano compensato, per quanto possibile, la morte del primogenito; per mia nonna, che aveva trasferito il suo amore ossessivo da mio padre a me.
Così prese a sequestrarmi spesso, quando, cioè, le veniva la mattana improvvisa di andarsene al mare. Mio padre, avrò avuto non più di tre o quattro anni, mi aveva regalato una bambola bellissima, una delle prime bambole parlanti. Si chiamava Valentina, aveva un caschetto biondo platino, un vestitino rosa e le scarpette bianche. Dietro il collo un anello di plastica collegato ad un filo. Io tiravo e lei, senza espressione, mi diceva:" ciao, mi chiamo Valentina, e tu?". "io Nita", le rispondevo, convinta di un'interazione che allora mi pareva possibile.
La amavo tanto, quella bambola, più di qualunque bambola avessi mai avuto.
Mia nonna, però, temeva che potessi sciuparla, e allora imbastì una storia pazzesca (oggi diremmo fiction) per preservare il giocattolo dalle mie manine iperattive.
- Nonna, dov'è Valentina? Non la trovo.
- Ah, hai ragione. Valentina ha preso il treno ed è andata a Roma.
- A Roooomaaaa? Ma perchè? Qui non stava bene?
- Certo che qui sta bene, ma lei lavora: fa l'impiegata.
- A Roma?
- Sì. Vedrai che torna sabato.
Aspettai una settimana lunga un secolo. Credevo ciecamente a quella favola, ma temevo che lei non tornasse mai più. Invece il sabato successivo nonna mi prese per mano e mi portò vicino al cancello: Valentina era lì, e mi sorrideva. La abbracciai forte e trascorsi, con lei, il primo di una lunghissima serie di finesettimana che sarebbe venuta a trascorrere con la sua amica "di carne vera".
All'inizio della settimana la accompagnavo lì dove l'avevo ritrovata: sapevo che l'avrei rivista presto.
Non so, poi, che fine fece. Per quanto mi sforzi non riesco a ricordare più niente, a parte lei in tutti i particolari, gli arrivi e le partenze. Magari un bel giorno si innamorò e decise di rimanere a Roma per sempre.
Sorrido, mentre ne scrivo, perchè proprio oggi, a pranzo, mia madre ha ricordato l'episodio.
Sorrido anche perchè, della mia infanzia, ho ricordi molto belli: i problemi sarebbero arrivati, copiosi, solo qualche anno dopo.
Intanto la domenica è volata.
A voi auguro una settimana di ritmo e allegria. Domani è lunedì: si ricomincia.
Magari anche Valentina salirà sul suo treno.

Così prese a sequestrarmi spesso, quando, cioè, le veniva la mattana improvvisa di andarsene al mare. Mio padre, avrò avuto non più di tre o quattro anni, mi aveva regalato una bambola bellissima, una delle prime bambole parlanti. Si chiamava Valentina, aveva un caschetto biondo platino, un vestitino rosa e le scarpette bianche. Dietro il collo un anello di plastica collegato ad un filo. Io tiravo e lei, senza espressione, mi diceva:" ciao, mi chiamo Valentina, e tu?". "io Nita", le rispondevo, convinta di un'interazione che allora mi pareva possibile.
La amavo tanto, quella bambola, più di qualunque bambola avessi mai avuto.
Mia nonna, però, temeva che potessi sciuparla, e allora imbastì una storia pazzesca (oggi diremmo fiction) per preservare il giocattolo dalle mie manine iperattive.
- Nonna, dov'è Valentina? Non la trovo.
- Ah, hai ragione. Valentina ha preso il treno ed è andata a Roma.
- A Roooomaaaa? Ma perchè? Qui non stava bene?
- Certo che qui sta bene, ma lei lavora: fa l'impiegata.
- A Roma?
- Sì. Vedrai che torna sabato.
Aspettai una settimana lunga un secolo. Credevo ciecamente a quella favola, ma temevo che lei non tornasse mai più. Invece il sabato successivo nonna mi prese per mano e mi portò vicino al cancello: Valentina era lì, e mi sorrideva. La abbracciai forte e trascorsi, con lei, il primo di una lunghissima serie di finesettimana che sarebbe venuta a trascorrere con la sua amica "di carne vera".
All'inizio della settimana la accompagnavo lì dove l'avevo ritrovata: sapevo che l'avrei rivista presto.
Non so, poi, che fine fece. Per quanto mi sforzi non riesco a ricordare più niente, a parte lei in tutti i particolari, gli arrivi e le partenze. Magari un bel giorno si innamorò e decise di rimanere a Roma per sempre.
Sorrido, mentre ne scrivo, perchè proprio oggi, a pranzo, mia madre ha ricordato l'episodio.
Sorrido anche perchè, della mia infanzia, ho ricordi molto belli: i problemi sarebbero arrivati, copiosi, solo qualche anno dopo.
Intanto la domenica è volata.
A voi auguro una settimana di ritmo e allegria. Domani è lunedì: si ricomincia.
Magari anche Valentina salirà sul suo treno.